Dizionario del Cristianesimo

A B C D E F G I L M N O P Q R S T V

Introduzione

Il fenomeno del fondamentalismo si riscontra in numerosi sistemi di credenze religiose, in particolare in quelli che poggiano su testi rivelati, come l’ebraismo, il cristianesimo  e l’islam. Più specificamente, come movimento religioso in senso proprio e con questo nome, il fondamentalismo nasce tra il 1878 e il 1918 nell’ambiente evangelico degli Stati Uniti, precisamente nella Chiesa battista, in opposizione al protestantesimo  modernista accusato di voler adattare le verità del cristianesimo alla società contemporanea, per ciò stesso snaturandole. La denominazione deriva dal titolo (I Fondamentali) di alcuni volantini, apparsi negli Stati Uniti tra il 1910 e il 1915, nei quali venivano enunciati i punti irrinunciabili del cristianesimo così come rivelati dalle verità bibliche (appunto i fundamentals: dogma della Trinità , divinità di Cristo , sua concezione verginale, redenzionerisurrezione , giudizio universale, autenticità dei miracoli  del Vangelo ), che secondo questa impostazione vanno accettate senza bisogno di ricorrere a verifiche storiche, archeologiche o scientifiche. Si tratta pertanto di una posizione di biblicismo radicale, per la quale la Bibbia  non contiene semplicemente come per la maggior parte delle Chiese nate dalla Riforma luterana la Parola di Dio testimoniata da Cristo, ma è Parola di Dio , perché da Dio ispirata direttamente e indifferentemente in ogni parte dei testi sacri. Perciò tutta la Bibbia è egualmente autorevole e infallibile, anche in campi diversi da quello teologico, e perciò cade la distinzione tra Antico e Nuovo Testamento, essendo il primo giudicato come rivelazione, anche indipendentemente dal suo riferimento al secondo. Il fondamentalismo appare dunque una forma di letteralismo biblico, storicamente già presente da secoli nell’ambito del protestantesimo (posizioni simili avevano per esempio nel Cinquecento gli anabattisti) e risultante da un’estrema applicazione di uno dei principi dottrinali tipici della Riforma : la Bibbia come unica fonte della rivelazione. Benché accompagnato quasi sempre da una profonda pietà cristocentrica, che induce un’intensa e persino rigida vita morale, il fondamentalismo si è caratterizzato per una marcata critica anti-ecumenica condotta in particolare dall’International Council of Christian Churches (ICCC), organismo che, raccogliendo calvinisti e rigidi biblicisti di varia tendenza, fu fondato nel 1948 da Carl McIntyre in polemica contro la tolleranza mostrata dal Consiglio Ecumenico verso le correnti più liberali del protestantesimo, inclini al razionalismo. Con significato più ampio, talora sovrapposto a quello d’integralismo (che pretende un sistema unitario negatore della pluralità dei concetti e dei programmi, a differenza del fondamentalismo che esige l’applicazione rigorosa dei principi d’origine senza concessioni evoluzionistiche né adattamenti alle circostanze mutate), il termine fondamentalismo, a partire dagli anni Settanta del Novecento, viene anche utilizzato per indicare tutte le tendenze che, basandosi sull’interpretazione letterale del testo ritenuto sacro e su una forte identità culturale, traggono da ciò motivo per rifiutare ogni ipotesi d’evoluzione storica sui principi fondamentali della propria fede  e per trasferire questi principi anche nell’ambito della vita sociale e politica. Si parla perciò di fondamentalismo anche in contesti diversi da quello evangelico statunitense, specie nell’ambito cattolico, giudaico e musulmano.

I movimento dell'islam radicale e politico

Con la categoria di movimenti dell’islam radicale e politico si allude generalmente a un tipo di azione collettiva mobilitata in nome di un ideale socio-religioso e che ha per oggetto la contestazione degli Stati e delle società moderne sorte in epoca post-coloniale in molti Paesi di tradizione musulmana. Si tratta di movimenti sociali sorti in ambiente urbano, fra le nuove generazioni scolarizzate e frustrate dalle mancate promesse della modernizzazione avviata negli anni Sessanta del secolo scorso e rivelatesi del tutto inconsistenti nella seconda metà degli anni Settanta. La rivoluzione iraniana del 1979 può essere assunta a data simbolo del processo di mobilitazione crescente delle forme dell’islam radicale e politico. Questi movimenti rappresentano una versione moderna di una ricerca di autonomia culturale, economica e politica di popoli e società di tradizione musulmana, ricerca che cominciò già alla fine del XVIII secolo con i movimenti di risveglio religioso (come quello guidato da al-Wahhâb in Arabia Saudita), che è proseguita poi con le correnti del riformismo, espresse rispettivamente dall’indiano Jamal ad-Din al-Afghani e dal suo discepolo, l’egiziano Muhammad Abduh, e che, infine, è confluita in due tronconi: il primo è quello che fa capo alla Salafiyah (del ritorno ai padri), diffusasi dall’Egitto sino all’area del Maghreb; il secondo, molto più radicale, vero prototipo storico dei movimenti fondamentalisti islamici, si esprime nei Fratelli Musulmani, associazione fondata da un insegnante egiziano, Hasan al-Banna, nel 1929. Il filo che lega i movimenti di risveglio a quelli riformisti e fondamentalisti può essere identificato nella volontà da parte di tutti i leader e i militanti di queste diverse formazioni sociali e politiche di trovare un punto di equilibrio fra islam e modernità. La convinzione comune era ed è che i Paesi di tradizione musulmana siano in forte ritardo storico rispetto all’Occidente, sia dal punto di vista economico sia rispetto allo sviluppo scientifico e tecnologico. Il teorema che s’intende dimostrare, in tutti questi movimenti, è non solo la non inconciliabilità fra modernità e islam, ma anzi la presenza nella cultura di origine musulmana di risorse intellettuali, di modelli socio-politici, di ideali di giustizia sociale all’altezza delle esigenze dell’uomo moderno. I leader del risveglio, ma soprattutto quelli del riformismo e dell’attuale fondamentalismo radicale ritengono dunque che l’islam possa fornire indicazioni preziose per organizzare una società e uno Stato moderni, senza dover rinnegare i principi fondamentali ricavabili dal Libro sacro, il Corano, e sperimentati nella Città-modello, quella plasmata dal profeta Muhammad a Medina. Per essere moderni non occorre snaturare o abbandonare l’islam, né tanto meno imitare acriticamente i modelli occidentali. Quanto precede aiuta a comprendere come la discriminante fra i movimenti riformisti dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento da un lato, e i movimenti radicali e fondamentalisti contemporanei, dall’altro, possa essere individuato in tre fattori, due di carattere storico-politico, il terzo di tipo socio-religioso. Essi sono nell’ordine: la crisi degli Stati-nazione sorti sulle ceneri degli imperi coloniali europei e la corrispondente eclissi sia dell’ideologia nazionalista (molto diffusa e popolare nel metodo arabo sino alla fine degli anni Sessanta del Novecento), sia delle formule del socialismo all’“araba” praticate in alcuni Paesi (come in Algeria con Boumedienne o in Egitto con Nasser). L’affermarsi di processi di modernizzazione (con spostamento di masse di giovani scolarizzati dalle campagne dell’interno verso la città in cerca di nuove e migliori prospettive di vita) che hanno lentamente eroso le basi della società tradizionale (emancipando in parte il ruolo della donna, elevando il livello medio d’istruzione e spingendo le nuove generazioni a ricercare una mobilità sociale che i vari Paesi non sono stati in grado di garantire), provocando contraddizioni laceranti e conflitti intergenerazionali profondi. La convinzione da parte di una nuova leva di intellettuali, formatisi nella facoltà universitarie di indirizzo tecnico, che tutti questi processi di ordine pubblico, economico e sociale alla lunga possano sradicare dal cuore e dalle coscienze l’identità religiosa originaria; da qui l’idea di ri-islamizzare le loro rispettive società, cominciando dal basso, ricostituendo il tessuto micro-sociale attorno alle moschee e inventando registri di predicazione religiosa capace di competere con i messaggi e i linguaggi della società moderna, ivi compresi quelli dei mass media.

Il fondamentalismo ebraico

Per inquadrare la diffusione di movimenti fondamentalisti in campo ebraico occorre tener presente la teologia dell’Olocausto. Questa teologia si delinea con chiarezza negli anni Sessanta del Novecento, quando viene avviata una riflessione su due fatti che il pensiero e la memoria collettiva ebraica tendono ormai a tenere assieme: la sofferenza patita dal popolo d’Israele a causa del genocidio e la pretesa di avere una Terra sulla quale costruire uno Stato ebraico. La divisione che s’insinua nel mondo ebraico ha sullo sfondo il tema dell’interpretazione da dare alla legittimità ultima dello Stato d’Israele: espressione della promessa di Dio che si compie o normale evento politico. La linea di confine vede contrapposti ebrei secolarizzati ed ebrei ultraortodossi. I primi guardano alla sfera politica come a un ambito autonomo dalla religione; i secondi non ammettono l’indipendenza del piano della rivelazione da quello dell’azione politica. Gli ultraortodossi anelano a una società fondata sulla Parola della Bibbia  (la Torah e la sua tradizione orale). Ne consegue l’opposizione nei confronti della concezione secolarizzata del sionismo. In questo senso si può dire che la specificità del fondamentalismo ebraico stia principalmente nella sua dimensione etnica. In altri termini, i movimenti ultraortodossi che sono sorti in Israele (Agudat IsraelNaturai KartaGush Emunim) e negli Stati Uniti (come il movimento Lubavitch) affermano il principio dell’identità dell’ebreo in quanto facente parte di un popolo la cui missione è quella di diventare nazione di Dio. A fronte di questo progetto vi sono nel campo stesso degli ultraortodossi varie risposte: da coloro che negano che la via politica possa aiutare a far nascere la nazione eletta (Naturai e Agudat), a quelli che proprio nella riappropriazione di tutta la terra d’Israele (Eretz Israel) vedono il compimento delle attese messianiche  (e per questo osteggiano ogni ipotesi di compromesso con i palestinesi). Tutti i movimenti in questione sono accomunati dalla difesa dell’inerranza del Testo che va messa alla prova con un’azione militante che si esplica in campo sociale e, soprattutto, nell’agone politico.

Tracce di fondamentalismo cattolico

La difficoltà di applicare la categoria di fondamentalismo al cattolicesimo deriva dal fatto che in esso non c’è il primato del Testo, ma piuttosto quello dell’Autorità mediato dalla Tradizione . Perciò i fenomeni che storicamente possono essere accostati al fondamentalismo sono di volta in volta l’integralismo, il tradizionalismo e il conservatorismo teologico. Delle tre tendenze quella che, in realtà, ci sembra più prossima alla categoria che stiamo esaminando è quella dell’integralismo e, in particolare, nella versione moderna del neo-integralismo, di un movimento come Comunione e Liberazione. Il neo-integralismo cattolico, come avviene nel caso di altri movimenti fondamentalisti contemporanei, accetta la sfida della modernità non per rifiutarne radicalmente le ricche potenzialità che essa offre per l’azione sociale, ma per contestarne le finalità secolarizzanti di cui essa si fa portatrice.